MITO e CINEMAa cura di: Gianni Actis Barone |
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con opere di: Luigi Mastrangelo Luigi Ontani Mario Volpi Wim Wenders |
Luigi Ontani, per esempio, non riscopre il mito ma lo suscita in noi. Il suo gioco è anche il suo giocattolo. Il travestimento favolistico è lo smalto di Heros, i calembours sono i doppi e i tripli significati del suo travestimento. Adagiato in uno spazio che non cessa di mutare, perché il suo apparire lo muta (e non serve che intervenga - come le Danaidi col fango della palude di Lerna), lodisseo Ontani ci racconta storie sorprendenti senza il rimpianto o la solennità dellultimo eroe omerico. Nel lontano oriente, nel vicino oriente, nel barocco misurato, nellultimo ottocento raffinato, fino a noi, Luigi Ontani trascorre il suo spazio a viaggiare nel tempo. E impiega così bene il suo tempo che lo spazio si contrae fino allorizzonte di un balzo, per poi percorrere altre strade e ripercorrere altri tempi. So per certo che Luigi Ontani ha conosciuto Mercuzio, e con lui ha parlato della Regina Mab. Ancora oggi, per via di quel segreto, sussurra allorecchio di ciascuno parole che rincuorano i sogni. E i sogni riconducono al mito.
Sempre a est di Atene, nellarea Zen, area, per altro, in continuo rialzo, gli dèi vivono tempi arcadici dilatati allombra di alberi parafluviali. Lì si consumano i sacrifici della purificazione con animo sereno. Lo Zen non è teosofia che si possa spiegare solo con riferimenti metafisici. Anzi, è cosa oscura se non per le tracce comuni che ciascun adepto deve seguire senza porsi il problema se valga la pena seguirle o meno. Né si sa se tutti raggiungano il Satori: sorta di illuminazione interiore fugace e personalissima. Ciò che io so è che Luigi Mastrangelo abita spessissimo quei luoghi. A volte lo trovo come un San Sebastiano non martire, appoggiato con la schiena su qualche tronco ricurvo, a contemplare oltre la mia figura le stanze vuote di un paradiso dove gli dèi sostano come in un ostello per la gioventù. Sempre in fuga, come dice Lucrezio, da Roma a Capri, da Capri a Roma. Non per noia, naturalmente, ma per necessità. Lo trovo, bucolico, assieme ad animali cristianissimi o a zufolare in cima a pacifiche colline come un Eumeo che non abbia né fissazioni particolari, né tempo da perdere, né tempo da guadagnare. In fondo, Luigi Mastrangelo è un mitografo che ragiona con stile acrilico e nei suoi colori non cè mai violenza perché il presente la cancella e, a differenza di Antonio, preferisce che il bene non venga mai sepolto con le ossa di chi lha compiuto.
Wim Wenders ha fortificato i suoi miti alla cineteca del Centre Pompidou. La ruota di Ananke ha girato per lui sostenendolo sui ritmi del tempo. Le sue figure si muovono senza fissa dimora, come in Paris Texas, alla ricerca di una causa che le spinga verso altre imprese. E sempre il tempo, che sembra eccedere in ripensamenti, improvvisamente accelera verso un fine intermedio che non è la fine, ma linizio di un nuovo eterno temporeggiare. Gli angeli di Wenders (Il cielo sopra Berlino, Così lontano così vicino) sono gli dèi minori per una speranza che non sempre è a lieto fine ma in fondo salva gli uomini e sembra indicarli come i nuovi e possibili abitanti di un Olimpo occidentale. Gli dèi di Wenders non giocano a farla franca con le debolezze umane e non sono mitomani come Apollo e Dioniso che pretendono lassoluta fedeltà senza dare in cambio che una loro terribile o erotica presenza. Non chiedono sacrifici ma si sacrificano. La colpevolezza delluomo non fa loro vagheggiare un debito di coscienza servile. Certo sono dèi minori, ma la porta di Brandeburgo non è Gordio e non spiana continenti con un colpo di spada.
Mario Volpi fotografa miti sullo sfondo delle sue opere. I miti che ci presenta sono famosi personaggi del cinema come Orson Welles e Marilyn Monroe. Ma non è questo, il dato fondamentale. Gli uomini-mito, immersi, anzi, troneggianti in architetture forse possibili ma altamente improbabili stanno dietro a piccole figure umane. Sono figure senza volto che presto, come in un gioco psicologico, diventano sfondo, lasciando alluomo-mito il compito di ergersi a figura. Ancora una volta interviene il tempo. Suo compito è quello di distogliere lattenzione immediata da ciò che non sia luomo-mito per poi ricomporre limmagine partendo da quel fulcro verso una voluminosa periferia che sembra non voler interferire con luomo-mito ma sostare, muta, in attesa che la pellicola riparta a completare un lungo e problematico percorso. Nel caso di Mario Volpi lindifferenza delluomo per il mito è compensata dalla vastità di superficie delluomo-mito che ci ricorda un motto pindarico:| HOME | Gianni Actis Barone | Artisti on line |