CAPITOLO QUARTO
“Tutte uguali, le donne” pensava l’assassino, trascinando Relèna in uno scompartimento. Una maga (l’assassino non si muoveva mai, senza aver prima consultato le carte) gli aveva predetto che con quella missione, lui, Vestigo Inani, sarebbe entrato a far parte della Storia. Un’entrata solenne, a quanto pare, e duratura. Relèna sguardò volutamente fuori. La valle, verde e coltivata, sementata, e, a tratti, arboriforme, si estendeva per decine di chilometri senza l’impiccio di un colle o di una montagnola ruvida e sassosa.
Nuvole dense di nero industriale (bellissime) comparivano all’improvviso, precipitando come aquile sull’acqua pigra dei deflussi. In quei punti l’aria sapeva di limatura di ferro, e di olio bruciacchiato dai motori, e di anidride mescolata ad anidride
- Quella fiala contiene un messaggio - cominciò Relèna - Tu non puoi, distruggerla. - E chi vuole distruggerla?! - disse Vestigo Inani - Io non so neppure cosa contiene, quella fiala...
(canto vibrante nel mezzo di quella forma definita, che naufragava torbida nel cielo).
Vestigo Inani storse nuovamente le labbra. Per esperienza sapeva che il dolore, in genere, toglie la capacità di mentire. Decine di eroi avevano barattato la tortura con la morte, perché nessun segreto vale più di un’unghia strappata. Magari il cuore, quello soltanto, può valere un segreto. Il cuore, e tutto il resto assieme. Ma per abitudine, non era mai propenso a credere prima della terza conferma. Perché sapeva che c’è gente testarda, a questo mondo. Gente che spera sempre nell’ultimo momento. Che si aspetta che il mondo cambi all’improvviso. Opportunisti feroci, che credono addirittura che gli ideali stiano al di sopra del denaro. Per questo motivo lasciò partire un secondo cazzotto contro il naso di Relèna. Non un cazzotto spietato, come quello precedente, ma un cazzotto breve, quasi amichevole. Un’ultima parola di avvertimento.
















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