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Tommaso OTTONIERI
Presentazione di Antropoeccentrico

Eccentrica Ë la qualitý di un moto che si ponga fuori del suo centro, fuori-centro, anzi che sia privo dello stesso centro ã o che si finga questa assenza. Eccentriche sono le figure somiglianti che si contengano l'una dentro l'altra pluricentriche o prive di un comune centro. Il geocentrismo stesso tolemaico conosceva l'eccentrico roteare dei pianeti su epicicli sfalsati, disposti su una circonferenza il cui centro fisso se ne stesse dislocato rispetto a quel centrico dispotico posto dove ha sede l'idea immota della Terra. Eccentrica ancora l'ellisse la cui curva si allunghi secondo l'andamento del suo asse maggiore, eccentrico il rapporto fra la distanza di un fuoco dal centro del sistema ed il pi˜ ampio semiasse della sua ellissi orbitale. Eccentrico ugualmente Ë detto di quell'elemento che animato da moto rotativo trasmette a un elemento ulteriore e centrato il proprio moto.

CosÏ il Tasso del Cataneo denunciava quella falla aperta nel medesimo, fisso geocentrismo tolemaico, tratto nel binario suo pensiero orbitale ã Tasso il suo integralismo lacerante, lacerato di fondanti double binds, di quell' "ordine maraviglioso dell'universo" che (quasi una vertigine di mise en abÓme iperurania del proprio rovello psico-esperienziale assolutamente manierista) la compresenza dell'eccentrico con l'epiciclo porterebbe a guastamento infatti. ã"Se ciascuno pianeta, come dicono, avesse il suo eccentrico e l'epiciclo, ne seguirebbe necessariamente ch'egli non si movesse intorno al centro del mondo, e, non movendosi intorno al centro, il moto de' pianeti non sarebbe perfettamente circolare".

Ogni ipnotica spirale mesmer-duchampiana partecipa di questa qualitý di eccentrico ã circolaritý imperfetta delle sfere, il relato/decentrato orbitare verso il suo asse pi˜ remoto ã cosÏ in qualche modo la traforata spirale lo-tech mediorientale che fu la macchina-autenticamente testuale): campo in cui l'enunciazione stessa spalanca le sue falle necessarie ã falle di un dire che contenga almeno due centri, perseguendo contemporaneamente la fuga (da sÈ, probabilmente) e la collisione (coi fuochi innumerevoli delle proprie ossessioni: quello che in Nadja era detto la hatise).

Come avviene allora, qui, che questo antropos narrante in fuga dal suo dire stesso accentrante, protagonistico, fallico folle-verbigerante iperbolico invadente fino ai limiti dell'intollerabile e del greve (ostensivamente, sÏ), probabilmente giý-scomparso... appunto per pronunciare la ossimorica fuga dal suo centro paradossale (centrifuga, appunto...) debba imperniare il suo non-sÈ, giý antropoeccentrico, su una parola marcata... Ë il mistero che la lettura lascia aperto, produttivamente. Che fonda della sua divaricazione questo altrimenti policentrico (e incatalogabile, autodecostruentesi) libro. » forse attraverso questa enunciazione assurdamente marcata (anche, e soprattutto, nelle sue disattese, nelle sue fughe, nei suoi ritorni, nelle sue cadenze le sue cadute i suoi fallimenti le sue falle), che la dunque fallica vettorialitý (fallocratica, fallocentrica: fatalmente unidimensionale) della soggettivitý autoriale cosÏ come della forma-romanzo che ancora questa si ostina (eccentricamente) a produrre, cerca, per eccesso, il suo tÚpico, magico punto di crollo.


Roberto ROVERSI


Roberto ROVERSI
su Antropoeccentrico

In questo romanzo/racconto nero/filosofico, tutto il tessuto narrativo tende, a mio parere, a lacerarsi, sciogliersi, sgommarsi e tuttavia la sostanza riflessiva distende al fondo un supporto filamentoso bene articolato che consente il moto ma non concede, non ammette l’interna, definitiva lacerazione. Questo movimento ondivago, da nave irretita in un mare in tempesta, può capitare che produca all’inizio un sentimento di spaesamento, immersi come si è - come ci si sente - fra tensioni così contrapposte. Ma procedendo, l’articolazione sempre più compatta - ripeto - e anche l’adattamento del lettore a questo, solo apparente, spaesamento, consentono di collocarci nella giusta linea di intendimento e di appagamento, anche.

Perché è certo che il testo non delude; non ci disarma affatto.

Ma come si articolano i due piani narrativi in apparenza divergenti, contrapposti? Posso rispondere per me: su un enunciato riflessivo fortemente aggressivo e ben collocato dentro le problematiche di fondo del nostro tempo; e su un racconto vero e proprio, un poliziesco apparentemente di vecchia scuola ma illustrato accompagnato e infine risolto con l’abbrivio di una ironia scaltramente perseguita e alimentata. Insomma, da una parte i proclami del Pontefice Rosso di Climax alla Nazione - che sopravvengono a inserirsi senza cautela, anzi con prepotenza, nella trama del “giallo” e dall’altra, i personaggi di questa vicenda precipitevolmente condita di un “nero” allucinante e costellata di episodi anche minimi, marginali. E, il tutto, dentro a una unità di tempo e d’azione: un treno in movimento - e poi fermato e poi di nuovo avviato - e tre quattro giornate di una stagione qualsiasi, ma non ventosa e senza neve. Non c’è nulla di burbero né di eccedente dentro a queste pagine; ma una secchezza utilissima che non si sottrae, comunque, a concedersi precise delucidazioni di scrittura. “Il corridoio (del treno) era buio. Più scuro di quando era entrata. Un buio annacquato, tendente al pallido. Ma tetro. E freddo, nonostante l’aria già primaverile del mattino. Un buio pieno di risorse. Carico, ancora, dei residui della notte” (pag. 32). Questo, come esemplificazione descrittiva di un interno.

Ne dispongo un secondo, per un esterno (a pag. 34 ): “Relèna sguardò volutamente fuori. La valle, verde e coltivata, sementata, e, a tratti, arboriforme, si estendeva per decine di chilometri senza l’impiccio di un colle o di una montagna ruvida e sassosa. Nuvole dense di nero industriale (bellissime) comparivano all’improvviso precipitando come aquile sull’acqua pigra dei riflussi...”. E anche per le figure in carne e ossa, per i personaggi, dentro la trama narrativa, si può ben dire che ognuno è lì fissato come una farfalla spillata sotto il vetro. Dunque non è un’opera facile, questa che abbiamo sotto gli occhi; né è un’opera che conceda o sopporti solo una gradevolezza (sia pure aspra) di lettura; perché sempre richiama a una concentrazione senza divagazioni. Per esempio, ogni frase, dei quattro cinque o sei proclami del “Pontefice Rosso”, necessita di un indugio, di una sottolineatura; una fermata per confrontarsi, per richiamare le idee, per verificarle. Tolgo una esemplificazione all’interno di un giro molto denso di scrittura: “l’anima è nei sensi”, dato non come un lemma rigoroso ma come un’apertura determinante, da complicata riflessione generale in atto.

A pagina 63: ”Il problema dei giovani, del lavoro, della sovrappopolazione, si risolve non con il controllo delle nascite ma con l’accelerazione della morte”. E a pagina 68: “La sola spiegazione è che Cristo fosse un uomo del futuro. Un viaggiatore del tempo”. Le sottolineature potrebbero accumularsi, ma credo di avere indicato, dal mio punto di vista, un percorso per camminare nelle pagine. Tanto più che, poi, non si può non completare questa mappa, senza almeno la presentazione dei vari personaggi impegnati in diretta; che a me sembrano, con qualche fascino letterario, piuttosto ombre corpose - e talvolta paurose - che individui o donne reali; più da vedere che da toccare. Di sangue, per diretta violenza, ne scorre a fiotti qua dentro, ma sembra, nonostante tutto, che si asciughi in fretta; che tenda a scomparire con poca traccia; mentre restano in evidenza le minime azioni visive dei personaggi; il loro cupo rincorrere la morte; o la violenza della morte, che sovraintende alla vita. Verso la conclusione, il racconto o il “resoconto” di questa forsennata carneficina tende a frantumarsi in una ambiguità simile a lucida nebbia. La finalità delle azioni, i volti, le mani delle persone tendono a dileguarsi, a defilarsi; a non più collocarsi al centro.

E la fine del libro potrebbe - forse potrebbe, dico - ricollegarsi al principio per avviare un’altra storia ancora. Dentro a un paesaggio che sembra prolungato nel tempo; più da Tremila che da Duemila vicino; perciò incombe come una totalità già culturalmente introiettata e accettata. Quel grigio bianco, senza quasi colori, che avvicina la giornata attiva più all’allucinazione normalizzata che all’esasperazione ancora conflittuale e non ancora rassegnata. Il racconto ha la sua efficacia anche nel richiamarci a queste urgenti verifiche della ragione.
Roberto Roversi
Bologna 1998


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Roberto ROVERSI
about Antropoeccentrico

In this blackphilosophical novel, the narrative tissue tends, in my opinion, to tear, melt, deatch, but the thoughtful substance, however, spreadsat the base to form a well-articulated, intertwined support that allows movement but does not grant, does not admit the internal, final laceration. This wave-like movement, akin to a ship trapped in a stormy sea, could at first produce an impression of being lost, so much we are immersed - we feel immersed - in such opposite tensions. As we proceed, however, the evermore compact articulation -as I mentioned - and the reader's adapting to this, if only apparent, by being lost, grant placement in the correct path of understanding, and of satisfaction.

Because clearly the text is not disappointing,-we do not feel deprived at all.

Nonetheless, how are the two levels of narrative tied together, being apparently so divergent and opposite? I can give my personal answer: by thoughtful expression strongly aggressive and well placed inside the fundamental questions of our time; and by a real story, a police novel that seems old-fashioned but is illustrated, accompanied, and finally resolved by cleverly pursued and nurtured irony. In short, on one hand the proclamations of the Red Pontiff of Climax to the Nation - which are inserted without caution, indeed with bullying, into the plot of the mystery; on the other, the characters of this adventure, impetuously seasoned with a dazzling darkness, and spangled with minute, even marginal episodes. And the whole placed inside unity of time and action: a moving train- then stopped, then started again - and three or four days in a generic season,without wind, however, or snow. There is nothing gruff or excessive within these pages; rather an extremely useful dryness that does not avoid, however,the concession of precise explanations in writing. "The (train) aisle was dark. Darker than when she had entered. A watered-down dark, inclined to pallor. Gloomy, however. And cold, the already spring-like morning air notwithstanding. A very resourceful dark. Still laden with the remnants of the night" (page32).This to exemplify the description of an interior.

I have another example, for an exterior (Page 34)"Relena...water"About the flesh-and-blood characters, the dramatis personae within the narrative thread, one can say that each one is there, fixed as a butterfly pinned underglass. Therefore it is not an easy piece of work, this that we have under our eyes; nor is it a work allowing or tolerating just pleasure (albeit sour)reading; for it always requires concentration without digressions. For example, each sentence of the four or five proclamations of the "Red Pontiff" requires a pause, an emphasis, a break for comparison, for remembering and verifying ideas. I quote an example from a very brimming sentence: "soul is in the senses",given not as a rigorous lemma, but as a determinant opening, deriving from acomplicated general on going meditation.

On page 63: "The problems of youths, of labor, of over population, must be solved not by control of birth, but by acceleration of death." And on page 68: "The only explanation is that Christ was a man from the future. A time traveler". More examples could be added, but I believe I have given, from my point of view,a path to walk through the pages. In addition, one cannot complete this map without at least the introduction of the various characters directly involved;characters with a literary charm, who seem to be dense, sometimes terrifying,ghosts rather than real men and women; something to be seen more than to be touched. Blood, because of direct violence, flows freely in here, but after all it seems to dry out quickly, to disappear without much trace, while the minutest visual actions of the characters remain prominent, their gloomy search for death, or for the violence of death, manages life. Towards the ending, thestory, or the "account", of this insane carnage tends to crumble into an ambiguity shiny as fog. The meaning of actions, the faces, the people's hands seem to vanish, to move out of range, to be in the center no more.

And the ending of the book could - just perhaps, I say - rejoin the beginning to start yet another story. Within a landscape that seems drawn out in time, more from the Third than the nearer Second Millennium, therefore impending like a wholeness already culturally acknowledged and accepted. That white gray, almost devoid of colors, that likens the earnest day more to a systematic hallucination than to a still confrontational, not yet resigned exasperation. The potency of the tale lies also in calling us to the urgent scrutiny of our reason.
Roberto Roversi
Bologna 1998








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kYROS
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