CAPITOLO IX
La magnum calibro 50 dell’assassino spuntò di traverso, tra un binario e l’altro, annusando l’aria, quasi che il Capo avesse un odore riconoscibile alla canna, e vangò, senza rumore, l’aria fresca del dirupo. Il Capo non la vide. La canna non vide lui. Il Capo scendeva a testa in basso e a mani levate. La canna guardava diritto, secondo la logica del cervello. Il Capo si preoccupava per la propria vita. Anche la canna si preoccupava della vita del Capo. Il Capo decise di scendere più in fretta. La canna di cercare più a lungo. Il fatto è che siamo gelosi di Dio, pensava la canna. Anche se di poco, di quel poco che ci prende (che ci resta) non ce ne freghiamo affatto. E Dio lo sa con chiarezza: castiga la carne con l’astinenza, la castiga con l’intemperanza. Perché il demonio risiede sui lombi dell’uomo, e cerca sempre un rifugio nel quale rintanarsi. L’angelo prediletto del Signore aprì uno spicchio di mondo per generare il male sulla terra. La battaglia dei sessi - dice un demiurgo - è comunque un fatto antropofagico. Non fu Dio ad aprire una libbra di quella carne per generare il male, ma solo per perseguire il bene. Purtroppo, il piacere della carne suscita il desiderio perpetrato dal demonio. Purtroppo, dice Dio, senza quel desiderio, ma soprattutto senza quel piacere, non vi sarebbe procreazione.
A questo mondo, si sa, non c’è momento che ci facciano godere, senza che un appiglio divino non resista alla più testarda incoscienza.
La canna sogghignò, aggiustando il mirino in palladium sagomato.




© Manuela Corti 1998





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