English version



- P R E S S  O N  L I N E -

Dal catalogo di "spazio&Dum Dum"
Inserire codice d'accesso
Daniele Perra
Da "Flash Art", ARTSCAPE
Webmistresses
Gianni Romano
Dal "Il Sole 24 ore", EUREKART
Big Bang on line
Chiara Somajni








Dal catalogo di spazio&Dum Dum
Inserire codice d'accesso
Daniele Perra



E’ in arrivo dagli Stati Uniti una nuova creatura artificiale, Furby, un giocattolo interattivo con le sembianze di un gremlin , in grado di parlare, giocare, muoversi ed apprendere. Due piccoli e potenti microchip sviluppano le sue funzioni motorie e quelle del linguaggio. Se il giapponese Tamagotchi viveva la sua esistenza ingabbiato in un display creando una sorta di distanza mediale o comunque simulava una realtà altra dai confini precisi e limitati, Furby entra nel nostro habitat, nel rituale del quotidiano, nella realtà tangibile, stravolgendo i nostri parametri di credibilità. Siamo ancora in grado di riconoscere nettamente i confini tra reale e virtuale, naturale e artificiale? Credo vi sia ormai una specie di combinazione, di congiunzione e non più alternanza o contrapposizione, tra la manifestazione concreta di un evento e la sua simulazione. L’interazione in un ambiente virtuale come nel Cave, sviluppato dall’Università dell’Illinois, luogo immersivo con tre pareti sulle quali vengono proiettate immagini stereoscopiche in 3D, navigabili e percorribili con l’uso di un joystick, è solo l’aspetto più spettacolare e sorprendente di una trasformazione graduale delle nostre modalità percettive e conoscitive. Più linguaggi come quello televisivo, video e cinematografico ci hanno fornito nuove angolazioni, nuovi punti di vista, pensiamo all’effetto zoom o alla ricostruzione di una sequenza rapida di fotogrammi completamente rielaborata e modificata in fase di montaggio (digitale o non). Jean Baudrillard, Paul Virilio, Philippe Quéau ed altri, indagando da anni su un paradosso epocale, costituito dalla messa in discussione della validità e dell'autenticità del reale, delle metamorfosi che ha subito e dei nuovi paradigmi e scenari che si sono sviluppati. Ci sembra quasi naturale pedalare una bicicletta e percorrere virtualmente la simulazione della città di Manhattan come in “The Legible City” di Jeffrey Shaw, costruendo una vera e propria story-board verbale-visiva, altrettanto naturale il gesto di sfiorare delle piante ed in base al nostro potenziale elettrico e all’utilizzo di sensori, agenti artificiali e software avanzati, dar vita ad una rigogliosa foresta digitale come in "Interactive Plant Growing" di Laurent Mignonneau e Christa Sommerer, oppure partecipare ad un “monitor a monitor” come in “The Search Engine”di Shirley Shor e Aviv Eyal, dove due computers collegati instaurano una comunicazione vera e propria grazie alle potenzialità degli attuali motori di ricerca telematici e rinnovate interfacce di comunicazione audio-visiva.nota 1
Non si può più parlare di confini tra reale e artificiale: la realtà “è piuttosto il risultato dell’incrociarsi, del contaminarsi (nel senso latino) delle molteplici immagini, interpretazioni, ri-costruzioni che in concorrenza tra loro o comunque senza alcuna coordinazione 'centrale', i media distribuiscono” (Vattimo, 1989). L’arte ha senza dubbio assunto un ruolo ed una funzione fondamentale nel mettere in luce e rilevare le numerose mutazioni in atto e le nuove modalità di produzione e di fruizione, determinate dallo sviluppo tecnologico, sociale e culturale, della cosiddetta società post-industriale (già forse post-digitalis) che ne hanno modificato la sua essenza.

Les lamentations du mur di Manuela Corti, che da anni indaga, analizza e sonda i nuovi territori di sperimentazione artistica attraverso l’uso di supporti tecnologici e nuovi canali di comunicazione come la rete telematica, cercando di ri-definire i tradizionali concetti di spazio e tempo, è l’emblema di nuove modalità di percepire agenti fenomenici (nel caso specifico l’acqua che scorre) in un habitat urbanizzato (le mura di una galleria d’arte) e allo stesso tempo ri-creato. Un muro di pietre virtuale, frutto di una rielaborazione digitale, trasuda “lacrime di pioggia”, invadendo materialmente lo spazio e costringendo lo spettatore ad utilizzare un ombrello, parte integrante dell'installazione. Si tratta di una tempesta, resa attraverso la sintetizzazione sonora in 3D di un temporale, che coinvolge lo spettatore, insieme al rumore dell’acqua sugli ombrelli che essendo fatti di plastica e tessuto creano effetti sonori diversi. L’acqua, elemento purificatore, si contamina, si sporca al passaggio dell’uomo le cui impronte indicano una reale presenza. L’environment diviene globale, immersivo e la fruizione plurisensoriale. Si potrebbe pensare ad una specie di set cinematografico ricreato in studio, ma in quel caso l’obiettivo principale sarebbe quello di creare “l’effetto pioggia” e renderlo talmente naturale da nascondere abilmente l’artificio mentre Les lamentations du mur smaschera proprio questo gioco sottile tra reale e artificiale per spiazzare il visitatore costretto a coprirsi e difendersi dall’acqua per poter vedere, attraverso gli ombrelli realizzati con scansioni diverse, a tratti trasparenti, quasi ad effetto schermo, la proiezione di un muro di pietre che piange lacrime di pioggia come se si trattasse di un momentaneo ed improvviso rovescio estivo. L’opera presuppone un’interazione partecipata che ne modifica l’andamento e lo sviluppo. Vi sono elementi incontrollabili come le gocce vere e quelle sintetiche, i rumori diversi in base alla quantità di persone presenti e quindi di ombrelli, l’umidità, l’acqua che variano costantemente creando una sorta di "disagio sensoriale imprevedibile". Inoltre l'artista ha voluto affiancare all'installazione un esperimento di comunicazione on-line, un parallelo net-art project per i navigatori telematici. Durante le fasi preparatorie dell'installazione, l'artista inserirà in tempo reale nel web site di Postmedia , grazie all'uso di una video camera digitale, immagini, suoni e commenti dello svolgersi dei lavori nelle varie tappe. La pioggia che cade in galleria bagnerà contemporaneamente sia i visitatori presenti che quelli telematici. Un work in progress allargato, uno sconfinamento della fisicità dell'avvenimento nella dispersione planetaria della rete telematica.

Bologna 1998

nota (1): "The Search Engine" è un'installazione interattiva di Shirley Shor e Aviv Eyal, che analizza la relazione uomo-macchina nell’era digitale. Due persone sono collocate al centro di uno spazio buio. Due PC sono posti uno di fronte all’atro, collegati alla rete telematica e vi è stato inserito un software per la ricerca in rete. I computers sono coinvolti in un animato e dinamico dialogo audio-visivo. Ogni computer chiede all’altro di cercare in rete dei siti in base ad una frase di partenza. Uno dei due computer attua una ricerca e fornisce una serie di siti che contengono la frase richiesta. L’altro computer fa poi una scelta fra i vari siti. L’immagine del sito viene proiettata e le frasi elencate, attraverso un sistema di comandi audio, tecnologia text to speech, riconoscimento vocale, speakers e microfoni. I computers si scambiano di seguito i ruoli ripetendo il loro dialogo all'infinito anche se lo spettatore è stimolato ed invitato ad interagire ed interferire nel processo automatico dei computer attraverso messaggi verbali che agiscono come virus, stravolgendone la loro attività programmata.

TORNA SU








Da Flash Art, Artscape
Webmistresses
Gianni Romano



"Tutto è cominciato quando iniziai a fare foto ai ragazzi del mio quartiere. Tornando a casa con Boo, una di quelle sere che ti sei fatta due tre vernissage, passiamo davanti un garage dal quale esce un beat pazzesco e parole che non avevo mai sentito. Sbircio in una macchina e dentro ci sono dei ragazzi davvero fighi. Gli dico che la loro "merda funziona" e gli chiedo chi stanno ascoltando... e loro rispondono "noi stessi". Gli dico "davvero? e come vi chiamate?". E loro "The Beatnuts". Poi mi mostrano il loro nuovo CD, lo aprono, si presentano. Les aveva degli occhi proprio sexy e faccio in modo che lo sappia. Procedendo verso la mia tana notiamo tre ragazzi tatuati e a torso nudo seduti su dei gradini. Veramente selvaggi. Un giorno vado al negozio del mio amico Trons - "Nothing Else Matters" - perché The Beatnuts firmano i loro poster. Cazzeggiamo un po', faccio delle foto e poi passo il resto della giornata con Les. Purtroppo era sposato... ma questo non gli ha impedito di provarci. Ho continuato a fare foto di rappers. Ho fatto anche foto di ciclisti e di strippers (uomini e donne), miei amici artisti, modaioli hip hop, graffitisti, gente con lo stesso nome di Alex, vecchi punk degli anni ottanta... blah blah.. uomini nudi... ma proprio tanti (anche se non ho una storia per ognuno di questi). Ho cercato anche di fare una serie di foto di poliziotti nudi (come reazione a "Hoods"), ma non mi piacciono i risultati. Ce n'era solo uno che mi piaceva da dietro. Ma non vado pazza per i poliziotti e non è uno spasso starci insieme. Quel tipo era la persona più spaventosa del mondo... una volta mi ha messo anche le manette. Credo che io e la mia vita ci divertiamo un mondo. M'intriga il fatto che le cose sembrino andare a cicli... in maniera quasi karmica. Perché la scrittura? forse perché da piccola ti danno sempre questi diari, che per un pò ti accompagnano, quelli con la piccola Betsy e il lucchetto sopra."

Il modo in cui Janine Gordon ci descrive la genesi di "Hoods" (www.thing.net/~janine) ci invita a porci una domanda importante: sarà poi vero che, siccome viviamo nell'epoca delle immagini, ogni nuovo strumento di comunicazione è indissolubilmente legato ad esse? La facilità con la quale l'immagine ha sviluppato un proprio linguaggio non sarà poi causa di quello scetticismo che ritroviamo oggi tra gli artisti nei confronti del nuovo strumento?

Artiste come Manuela Corti, con due lavori importanti come "Hoods" e "Passages", sembrano avere significativamente spostato il problema compiendo quello che a prima vista potrebbe sembrare un passo indietro. I siti web delle due artiste sono infatti quasi completamente dedicati alla scrittura.

Janine Gordon si e' diplomata nel 1996 alla New York University ed ha al suo attivo qualche collettiva dai titoli espliciti: "Identity Crisis", "Male" o "Voyeurs Delight". In "Hoods" troverete pagine scritte e numerosi ipertesti. Molte parole sono cliccabili e vi trasportano verso altre storie o vi mostreranno una fotografia. Janine Gordon usa la rete come una specie di diario nel quale descrive le sue giornate in giro per downtown in compagnia di uomini diversi con i quali spesso s'instaura il gioco della seduzione. L'esplicito contenuto sessuale del racconto, tuttavia, è anche motivo di frustrazione. Da ogni ipertesto ci si aspetterebbe il passaggio dal soft-core all' hard-core, ma l'attesa viene continuamente negata da ritratti innocenti di questi ragazzi o da brevi immersioni narrative che arricchiscono la nostra percezione dell'incontro.

Negli anni ottanta abbiamo visto molti lavori di artiste che presentavano dei testi come parte integrante dell'opera. Tanto per rinfrescarci la memoria: i truismi elettronici di Jenny Holzer, diari e trofei di Annette Messager, i manifesti di Barbara Kruger e delle Guerilla Girls, le storie di Sophie Calle, i wall drawings di Jessica Diamond, le parole scolpite da Nancy Dwyer... Ancora oggi il testo è uno degli attributi particolari nel lavoro delle artiste come dimostrano gli scarabocchi scritti sul proprio corpo da Elke Krystufek e il successo delle fotografie dell'iraniana Shirin Neshat dove la scrittura duplica la superfice corporea sovrapponendosi graficamente alla "scrittura" fotografica. Anche l'uso del testo in Internet credo vada compreso nei termini di un attacco all'autonomia dell'immagine. Il testo, cioè, diventa metaforicamente uno strumento che esplora la separazione tra il mondo a disposizione e l'immagine che dovrebbe formalizzare tale incontro. Nel caso della coesistenza tra linguaggi diversi, inoltre, il testo può costituire una ulteriore subdirectory che contribuisce alla riuscita di un progetto aumentandone la percentuale di ambiguità semantica. In termini non dissimili dall'operatività dell'immagine filmica, l'opposizione testo-immagine creerebbe cioè uno spazio nel quale lo spettatore è invitato a considerare possibili sottotesti significativi che convivono con la seduzione dell'immagine.
A tale proposito"Passages"di Manuela Corti rappresenta un labirinto testuale costruito in maniera corale da creatori e partecipanti e nel quale non è un immagine a costituire l'idea di partenza, ma un testo letterario che funge da griglia portante allo svolgimento del progetto. Come spiega la stessa Corti: "Passages non è costruito per rivelarsi, bensì contiene molti elementi nascosti: piccoli link misteriosi che deviano il percorso del visitatore come se continuamente dovesse ricordare qualcosa che ha dimenticato. Questi sono i miei giochi misteriosi che nemmeno gli artisti che collaborano conoscono (mi chiedono a volte perché tutto è così criptato e difficile da percorrere vorrebbero dare preminenza alle loro immagini.)"
“Passages” è costruito come un complesso intreccio di elementi, di persone e di strumenti operativi. Le persone sono invitate a condividere uno spazio comune e ad arricchire la pagina di partenza con i propri contributi: suoni, immagini, gif animate e, naturalmente, testi.
Daniele Perra definisce "Passages" come "non luogo della creazione, un viaggio labirintico allo scopo di trovare nuove relazioni, interfacce dialogiche modificate ed espressioni potenziali inesplorate." "Passages" si fonda su una costante opera di "traduzione" da parte dei suoi creatori, un'opera nella quale contano i passaggi, più che le affermazioni vere e proprie. "Gli imput entrano come materia lavorata ma sempre sul punto critico di una trasformazione di fatto." (Manuela Corti)

Sebbene la diffusione di Internet amplifichi le capacità comunicative dell'immagine, la parola conserva un enorme potere. In una realtà virtuale dove è assente la materia -- nella quale ognuno è ciò che dichiara di essere -- la parola assume grande importanza ai fini identitari. Forse bisognerà ricordare, con De Kerckhove, che il linguaggio è stato la nostra prima tecnologia, il primo strumento con il quale l'uomo ha elaborato delle informazioni. Se le artiste hanno conservato un grande interesse per il linguaggio è perché a tutt'oggi il linguaggio è presentazione prima di essere rappresentazione e i modelli simbolici e culturali che hanno formato questa "presentazione" nei secoli sono immancabilmente un prodotto degli uomini.

Estate 1998 Flash Art

TORNA SU








Dal Sole 24 ore, EUREKART
Big Bang on line
Chiara Somajni



"Relena sta sul treno che sta sull'erba. Oltre l'erba c'e la città. Al di li della città sorgono immense piantagioni di grano. Poi altre grandi città. Quindi il mare. E dopo il mare vi sono nuove città. Perché la terra è rotonda e sempre si torna al punto di partenza".
Così inizia il romanzo di Gianni Actis Barone Antropoeccentrico (Ed. dell'Ortica Communication, Bologna 1998). Manuela Corti - nata a Siena nel 1959, laureata in filosofia della scienza - ha scelto questo romanzo per un progetto singolare, per il quale ha coinvolto una ventina di artisti di tutto il mondo, pescati in rete uno ad uno e mai conosciuti di persona. Passages (consultabile su Internet: www.passiopea.net dove sono reperibili anche altri lavori di Manuela Corti) è stato realizzato per la mostra romana La coscienza luccicante (Il Sole-24 Ore Domenica del 20 settembre). La sua struttura è determinata da alcuni brani del testo scelti in modo tale da lasciare "il minor spazio all'azione e alla fisiognomica", rimandando sempre "alla base psicologica che sostiene l'intero romanzo".
Ogni lunedì per 23 settimane sono state messe in rete quattro nuove opere che andavano ad arricchire il sito. Gli artisti erano invitati ad appropriarsi del testo scelto, traducendolo nella propria madre lingua.
Passages ha dato vita a una comunità di artisti esclusivamente legati da un progetto comune che coniuga una struttura rigida (il romanzo/tema) con la libertà creativa individuale, potenziando le capacità collaborative dei partecipanti; un progetto che al tempo stesso recupera una dimensione narrativa e la frammenta, creando piccoli mondi di senso, di suggestione visiva, acustica, intellettuale (i singoli progetti) che a loro volta si richiamano l'un l'altro. Un'architettura sofisticata: che esplora la possibilità di combinare arte e narrativa, lettura e interattività, radunando e valorizzando identità e culture geograficamente disperse; e che è frutto dell'interesse filosofico di Manuela Corti per le forme e le interconnessioni dello spazio.
Manuela Corti  (con la quale riprendiamo la rubrica dedicata a creatività e nuovi media: chi volesse può segnalare il proprio lavoro a somajni.chiara@ilsole24ore.it)  si è progressivamente appropriata dei media disponibili - da utente, precisa -, iniziando con la fotocopiatrice per approdare nel '90 al computer e a Internet. Le sue installazioni tendono a indagare il confine tra reale e artificiale, come in Les lamentations du mur, esposta a Parigi, con un temporale artificiale proiettato sul muro "lacrimante", e fruita grazie a un ombrello sul quale tamburellavano gocce d'acqua vere. Ai visitatori poteva restare in mano l'ombrello, unica parte dell'opera conservabile, e da disperdere, come i Gift (regali) che la Corti in una serie di performance ha messo a disposizione del pubblico, così sottolineando il ruolo nuovo dell'arte e dell'artista oggi.
I prossimi progetti riguardano di nuovo Internet: un'indagine artistica, filosofica e sociale del mito di Venere oggi, da realizzarsi in collaborazione con il francese Studio Fresnoy (una scuola superiore dedicata al multimedia); ed Enrizopedia universale, con istituzioni e artisti di Manchester: un ipertesto che parta da un'immagine ("germe di comunicazione") e che si sviluppi in rete, grazie all'intervento di un numero in crescita esponenziale di persone, organizzandosi progressivamente e in maniera imprevedibile in mondi separati, "proprio come un Big Bang".

Il Sole 24 ore Domenica del 25/10/98

TORNA SU


POSTMEDIA 0  RAIN HOUSE  0  RAIN SHOW  0  ART LINKS